meriggiare pallido e assorto
Ci sono dei versi di alcune poesie che ti entrano in testa anche se non li capisci bene fino in fondo. Ti entrano dentro e anche se credi di averli dimenticati, cancellati, anche se la polvere del tempo si è depositata sulle pagine del tuo cervello, ogni tanto riemergono. Chissà, forse è proprio questa la vera poesia: quella che magari hai imparato a memoria quando non ne avevi voglia, quando non la comprendevi, non la afferravi fino in fondo, ma poi torna e ti piace, ti sembra una musica.
A me questo verso di Montale me encanta, ha l'effetto di una ninna nanna: mi culla dolcemente. Posso anche passare interi quarti d'ora a ripetermelo come un mantra. Anzi, credo proprio che "meriggiare pallido e assorto" sia il mio mantra, il suono che mi libera la mente, non, come dovrebbe, dalla realtà illusoria e dalle tentazioni materiali ma – au contraire – da se stessa, da me stessa.
Meriggiare pallido e assorto, meriggiare pallido e assorto, meriggiare pallido e assorto...

Cosa fa uno che meriggia? Riceve su di sé i raggi del sole, probabilmente, il tempo che passa, il mondo che trascorre, forse riceve stando fermo e facendo fluire i pensieri senza fermarli, forse. Io non lo so cosa fa chi meriggia. Però spesso – lo so, lo sento – io meriggio. Come oggi. Altre volte, invece, ho l'impressione di albeggiare (ed è umida persino la mia anima, come in maniera straordinaria seppe dire Neruda).
Meriggio e albeggio. Albeggio e meriggio.
Dipende dalle notti, dipende dai giorni, dipende dal cielo, dagli occhi che incrocio, dalle parole che sento, che rubo per strada. E non da quello che mangio: semmai l'azione di meriggiare o di albeggiare condizione la mia cucina, che essendo una delle tante forme di comunicare, non sempre riesce a trasferire in maniera puntuale uno stato d'animo complesso come quello di chi meriggia o albeggia attraverso il cibo.
Non sempre, non ancora. Allora, meglio fermarsi e arrendersi al mantra, aspettando di tornare sulla terra.
A me questo verso di Montale me encanta, ha l'effetto di una ninna nanna: mi culla dolcemente. Posso anche passare interi quarti d'ora a ripetermelo come un mantra. Anzi, credo proprio che "meriggiare pallido e assorto" sia il mio mantra, il suono che mi libera la mente, non, come dovrebbe, dalla realtà illusoria e dalle tentazioni materiali ma – au contraire – da se stessa, da me stessa.
Meriggiare pallido e assorto, meriggiare pallido e assorto, meriggiare pallido e assorto...
Cosa fa uno che meriggia? Riceve su di sé i raggi del sole, probabilmente, il tempo che passa, il mondo che trascorre, forse riceve stando fermo e facendo fluire i pensieri senza fermarli, forse. Io non lo so cosa fa chi meriggia. Però spesso – lo so, lo sento – io meriggio. Come oggi. Altre volte, invece, ho l'impressione di albeggiare (ed è umida persino la mia anima, come in maniera straordinaria seppe dire Neruda).
Meriggio e albeggio. Albeggio e meriggio.
Dipende dalle notti, dipende dai giorni, dipende dal cielo, dagli occhi che incrocio, dalle parole che sento, che rubo per strada. E non da quello che mangio: semmai l'azione di meriggiare o di albeggiare condizione la mia cucina, che essendo una delle tante forme di comunicare, non sempre riesce a trasferire in maniera puntuale uno stato d'animo complesso come quello di chi meriggia o albeggia attraverso il cibo.
Non sempre, non ancora. Allora, meglio fermarsi e arrendersi al mantra, aspettando di tornare sulla terra.
Commenti
Ciao piccola, un abbraccio forte.Mada