Quelle che non si fanno mancare mai niente e poi la cucina le aiuta...

Eh sì, proprio quelle lì. Noi non ci facciamo mancare mai niente, soprattutto se stiamo parlando di qualcosa o qualcuno di cui potremmo benissimo fare a meno.

Ci sono ragioni diverse per questo strano ma diffusissimo comportamento, ragioni che possono essere più o meno a lungo indagate, ma ciò non toglie che la maggior parte di noi donne (e una parte ridotta, e per questo significativa, di uomini) non si fa mancare mai niente... a volte quasi compiacevolmente, e non solo consapevolmente, decide di non evitare, anzi intraprendere, percorsi quanto meno pericolosi.
Siamo davvero delle maestre, potremmo tenere dei corsi o chiedere ad alberto angela di girare dei documentari sulle nostre condotte di vita, sui nostri uomini, sui nostri rapporti familiari, sulle nostre scelte professionali. Ma non ci dovrebbero proteggere perché – tranquilli! – non siamo una specie in via d'estinzione...
Credo si potrebbe parlare d'istinto irrefrenabile alla complessificazione della vita. O di vocazione alla dramatizzazione della realtà. Fatto sta che, a volte, ci mettiamo davvero in situazioni paradossali, contrarie a qualsiasi buona e semplice norma di esistenza conservativa e non autodistruttiva. Lavori che ci riducono a larve, ritmi estenuanti quasi ci dovessimo punire per aver commesso dei delitti o espiare chissà che. Il tasto più dolente? La scelta dell'uomo di turno o del compagno di viaggio, volendo usare un'espressione più ottimista (considerando che spesso i viaggi si riducono a una ida y vuelta giornaliera...).

Non conto le storie in cui risulta fin troppo evidente che molte di noi hanno la capacità di scegliere tra molti uomini, quello meno adatto, disponibile, aperto ad un rapporto per ragioni varie. Non le conto, davvero. E non conto le donne che, pur avendo subodorato questa cosa, vanno todo recto, dritte per quella strada, con una determinazione impressionante, contro ogni evidente riscontro. Istinto masochistico? Anche, ma non solo. La faccenda è più complicata e quando ti rendi conto delle cose che ci sono in ballo, be' lì allora sono proprio dolori perché, ammesso che tu possa trovare una spiegazione, o cerchi di contrastare questa strana "predisposizione" o cerchi di conviverci. E non ho ancora capito cos'è più difficile.

Molti dicono che prima o poi arriva per tutti il tempo della pace, perciò o si aspetta cercando di limitare i danni o ci si arrende all'evidenza. Io mi arrendo a dover aspettare ma non riesco a limitare i danni, allora, quando il quadro appare in tutta la sua chiarezza e inesorabilità, tanto per cambiare mi conforta la cucina, possibilmente piena di gente, come quella di mia mamma sotto Natale. Perché faceva casa, focolare, contatto fisico, intimità. Quella cucina calda e fumosa, con la cappa accesa, la porta del frigorifero perennemente aperta, quando era tutto un preparare provviste per i giorni di festa che stavano per arrivare. Ecco in quella cucina mi ricordo che mia mamma e le mie zie stavano a impastare, stendere, infornare, friggere, sformare, scolare, glassare, conservare e parlavano, parlavano di tutto quello che era successo nell'anno che stava per finire, parlavano dei soldi che non bastavano mai, di quello che era successo al tal uno piuttosto che al tal altro, parlavano anche di uomini, dei loro difetti e dei loro pregi, delle loro madri (ovviamente!) e dei loro lavori, del loro essere padri e del loro essere amanti. E se per caso qualcuna di loro diceva qualcosa di sconveniente per le mie orecchie sante, tutte si fermavano, si guardavano negli occhi in silenzio per qualche istante poi guardavano me, che le riguardavo sbalordita perché tanto non avevo capito niente, e scoppiavano a ridere...
Se si potesse fare, almeno una volta al mese, una seduta terapeutica di questo tipo, tra sorelle, amiche, donne tanto per ricordare al cuore, che prima o poi il tempo della pace arriva, se questa cosa si potesse fare, io inserirei nel menu sicuramente questo piatto semplice e gustoso perché mi ricorda quelle giornate, il sapore delle feste e l'atmosfera di complicità che ai miei occhi di bambina sembrava una magia. O forse lo era davvero.

Calzoni integrale con cime di rapa



(per 2 calzoni grandi)
500 g di farina integrale
300 ml di acqua tiepida
1 cubetto di lievito di birra
50 ml di olio extravergine

1 kg di cime di rapa
1 spicchio di aglio
1 peperoncino piccante
3 cucchiai di olio extravergine

Formate la fontana di farina su un piano di lavoro e sciogliete il lievito in poca acqua tiepida, aggiungetelo alla farina e impastate, unendo a mano a mano anche il resto dell'acqua tiepida, un pizzico di sale e l'olio. Formate una palla e fatela lievitare per 1 ora. Trascorso questo tempo, riprendete l'impasto e lavoratelo ancora un po' sul piano di lavoro: dividetelo in due e rimettete le due pagnotte a lievitare per un'altra ora.

Nel frattempo, mondate le cime di rape scartando i gambi più duri e lavatele più volte. In una casseruola scaldate l'olio con lo spicchio d'aglio sbucciato e il peperoncino tagliato a fettine e quando l'aglio sarà dorato, aggiungete in una volta sola le cime di rape, sgocciolate grossolanamente. Coprite subito e lasciate ammorbidire la verdura senza aggiungere acqua e sale per 10 minuti. Trascorso questo tempo, regolate di sale, coprite e portate a cottura mescolando di tanto in tanto (se le cime di rapa sono buone e il fuoco dolce non sarà necessario aggiungere dell'acqua, altrimenti allungate di tanto in tanto con acqua tiepida ma fate assorbire tutto prima di aggiungerne dell'altra: non devono risultare "lessate". Calcolate circa 1 ora di cottura). Lasciate intiepidire.

Riprendete le pagnotte e stendetele con il matterello formando 2 pizze, disponete su ognuna metà delle cime di rapa stufate (eliminate l'aglio!) e chiudetele formando due calzoni. Sistemateli su una placca da forno e cuoceteli a 190 °C per 35-40 minuti. Sono buonissimi caldi, ma fanno la loro (porca) figura anche freddi.

Commenti

Anonimo ha detto…
Yo los he probado!!! jejeje Qué ricos!!!

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