In the food for love about love

Ne hanno parlato milioni di persone nella storia: poeti, artisti, cantautori, sociologi, psicologi, e pure comuni mortali con un congruo bagaglio di esperienze, quindi ne può parlare anche chi per amore cucina, prendendosi una pausa dai fornelli.
Ma - precisamente - che cos'è l'amore?



Nell'immensa esegesi che si è sviluppata da questa domanda c'è chi c'ha creduto, chi non c'ha creduto, chi ha cercato di capire, chi se n'è fatto una ragione, e chi si è ostinato a non accettare, ma tutti, dai più convinti ai più scettici, non hanno potuto fare a meno di riconoscere:  la vita della donna, e dell'uomo in misura leggermente minore, gira intorno all'amore, questo meraviglioso sentimento capace di portarti un giorno in orbita, un giorno agli inferi, e uno (che è forse il luogo peggiore, ma più frequentato) in un noiosissimo e tristissimo piano terra non luminoso e non arredato.
Ma ne vale la pena di stare su quest'ottovolante?



Lungi da me l'imperdonabile presunzione di poterne valutare l'opportunità, e soprattutto di essere finalmente arrivata al tempo della mia vita mortale in cui, coi primi capelli bianchi al vento, posso tenere ben salde le redini e dirigere sicura la diligenza dell'amore, come nei vecchi film western, verso la stazione di posta della saggezza, però mi sembra che, forse, questa storia qui ci è scappata un tantino di mano. Sì - insomma - l'abbiamo un po' complicata, sopravvalutata, dai.
La colpa di questo fraintendimento peraltro non è nostra (che sollievo!), ma dei nostri antenati, a partire da quei romanticoni simpaticoni fantasiosi, e a volte scettici, dei Greci. Nella versione antica, poi recuperata drammaticamente anche in età moderna dai Romantici, l'Amore nasce come passione che sconvolge la mente e fiacca il cuore. In pratica, una malattia mentale con gravi conseguenze fisiche. Infermità malignamente inflitta dagli dei, che però, quasi sempre, guarisce, proprio come una malattia esantematica. O uccide. Quasi mai va a finire bene. E tuttavia per quanto quest'idealizzazione tragica non sia stata proprio salutare, bisogna pur riconoscere che, se non vi fosse ancora un flebile retaggio di quella lontana speculazione che ha germinato nei secoli successivi partorendo idee spesso deleterie, oggi ci dovremmo accontentare di una visione più materialista, meno idealista e romantica, chissà forse più vera, ma terribilmente "bassa" e noiosa (per intenderci, una visione che ci farebbe guardare al notabile gruppo, per fortuna chiuso, "Sesso droga e pastorizia" come ad una vera e propria bibbia in materia. L'abbiamo scampata, per adesso, proprio grazie a quei romanticoni dei Greci).

Volendo affrontare in maniera pseudo-seria l'argomento, partiamo dal fatto che dobbiamo ammettere l'esistenza di vari tipi di amore, ognuno con sue caratteristiche, con suoi frutti e con sue precise durate. Sì perché gli amori, di qualsiasi tipo siano, non sono eterni. Durano fintanto che viviamo noi se decidiamo di farli durare, forse in qualche raro caso ne sopravvive il ricordo, ma generalmente gli amori hanno sempre un inizio e una fine. Con buona pace dell'abusato concetto di "amore eterno" (a proposito, non promettetevelo: ho visto crollare in poco tempo coppie inossidabili, relazioni di lunga data, amori sbandierati ai quattro venti per le ragioni più diverse, e spesso futili. Lasciate perdere).




Normalmente gli amori più longevi sono quelli provati da una madre o da un padre per i propri figli. Certo, casi di madri o padri  degeneri ci sono, ma - per fortuna (o sfortuna) della razza umana - sono ancora isolati. Poi ci sono l'amore erotico, baldanzoso e volubile, quello platonico, pacato e più solido, quello disinteressato per gli esseri viventi in generale, rarissimo, quello per gli animali, oggi molto di moda, quello per le cose, decisamente etereo, ma spesso con deviazioni maniacali.

Però, se da un lato è nella natura umana voler bene, come pure odiare, dall'altro il difficile è voler bene accettando che si possa non essere ricambiati, in parte o completamente, quasi impossibile poi è farlo gratuitamente, senza aspettarsi nulla in cambio. Ed è proprio l'aspettativa disillusa o disattesa che genera i mostri dell'Amore. Solo i santi allora possono amare?
No, le madri ci riescono meglio a sopportare l'idea che si può amare senza essere riamati allo stesso modo, e lo fanno. Credo sia un'acquisizione genetica impagabile che nasce durante la gravidanza, con la percezione fisica di una vita che ti cresce dentro, e si consolida giorno dopo giorno, e dentro rimane fino alla fine dei tuoi giorni. Ma al di fuori di questa circostanza "madre-figlio", al di fuori della situazione di un padre che ama pressoché incondizionatamente i propri figli, ecco l'amore è cosa ardua assai (anche in questo avevano ragione i Greci).
Non ci riescono tutti a sostenere l'impegno, la dedizione, la tenacia senza pretendere una contropartita (ora che ci penso, nemmeno molti genitori ci riescono: per esempio, non lo fanno certo quelli che si sacrificano per i figli restando tutta la vita con un uomo, o con una donna, che non li ama, o che non amano, e poi rinfacciano proprio ai figli di essersi sacrificati per loro…).
E non è solo una questione di generosità, l'atto di amare. Prendiamo, per esempio, il momento topico, che quasi sempre c'è in una storia d'amore, quello della piena consapevolezza e corresponsione degli amorosi sensi: la componente erotica, spesso trainante, e quella affettiva, altrettanto spesso al traino, vanno finalmente di pari passo, e vanno a passo spedito, sembrerebbe verso una medesima direzione. Ti rendi conto che sì, ami; metti velocemente in fuga i dubbi riguardo al fatto di lasciarsi andare ed esporre il fianco alle delusioni; comunque bastano uno sguardo, un sorriso, anche un semplice messaggio, e ti si senti subito al settimo cielo.
Quanto dura quest'estasi? Quanto riesci a sentirti follemente innamorato e, allo stesso tempo, follemente ricambiato?



A ben guardare, il "momento clou" della relazione è più spesso "clou" soltanto per una delle due parti in gioco, l'altra magari ancora ci deve arrivare a quel punto, oppure purtroppo l'ha già superato, il che rappresenta la situazione meno confortante, guardando al futuro.
Arrivi prima o arrivi dopo, insieme è rarissimo, un po' come durante l'atto sessuale.
La cosciente percezione di questo scarto (che per fortuna non hanno in molti, intendo la percezione, non lo scarto) non produce forse un dolore, una frattura, una distonia in grado di introdurre in un organismo apparentemente sano, il vostro amore, un virus, un batterio che prende a crescere e ad allargarsi fino a infettare tutto, e in alcuni casi uccidere?
Fin qui, quindi, direi in sintesi:
Incontrata la persona che ci attrae, avviata la relazione prima con un click nella propria testa, poi nella realtà preso atto che l'altro ha compiuto la medesima azione si sviluppano due scenari.

Opzione a.) più tipicamente femminile: Ti amo, ti do tutto me stesso, tu non mi dai o mi dai meno, per un po' mi basta, poi anche io voglio avere quello che mi spetta, quindi mi scogliono, e forse me ne vado.
Opzione b.) più tipicamente maschile: Ti amo ( il giusto, dando la giusta priorità alle cose, con equilibrio e lontano dalle passioni che logorano il cuore perché quelle passioni fanno male), ti do quello che posso e vedi di fartelo bastare, anzi, vediamo di non romperci i coglioni a vicenda, perché se mi stanco, ecco forse me ne vado. Se mi conviene.
Preciso: entrambe le opzioni non pagano.

Ce ne sono anche altre, di opzioni, corollari di quelle di partenza.
Opzione c.): Ti amo, ti do me stesso, tu non mi dai o mi dai meno, mi basterà per tutta la vita, e anche oltre. Trattasi di affermazione megalomane, realmente circoscrivibile a contesti patologici o mitologici, scegliete voi.
Opzione d.): Ti amo (il giusto), quello che mi dai mi basta (tanto pure io di più non ce la faccio), perciò ci faremo bastare quel poco che ci diamo, senza prenderci reciproche distrazioni. Anche questa non è un'opzione fortunata. Le distrazioni prima o poi arrivano, e se le fondamenta sono labili, l'edificio barcolla. Tra l'altro, credo che pure quest'opzione sia appannaggio di illustri studi psichiatrici.

Ho parlato con donne, ma anche con uomini, più o meno giovani, più o meno consapevoli: tutti, uomini e donne, hanno provato almeno una volta nella vita l'enorme delusione e la profonda amarezza derivante dal constatare che l'amore, un tempo fiume in piena, poi rientra nei ranghi, si affievolisce, rinsecchisce, spesso per questa annosa questione delle aspettative (che, in generale, rovinano la vita anche al di fuori degli affari amorosi). E quindi, come se non bastasse la devastante sensazione di impotenza che si prova di fronte ad un sentimento che naufraga sotto la forza d'urto di una non corresponsione, tutti prima o poi vivono sulla propria pelle anche l'effetto non meno devastante che deriva dall'impietosa evoluzione di quella che un tempo poteva chiamarsi indomabile bramosia dell'altro (intesa come passione, non solo fisica) in un assai ben domabile affetto (nella migliore delle ipotesi). Affetto che, per quanto possa sembrare una forma più elevata o profonda di amore (perché si stacca dai turbamenti classici, e pericolosi, della passione) non eleva l'amore, lo rende solo più longevo.
Ammesso che sia il caso di accanirsi…

Perciò preciserei così:

Opzione a.) Ti amo, ti do tutto me stesso, tu non mi dai o mi dai meno, per un po' mi basta, poi però mi scoccio perché tra tutto questo dare, e avere, ho capito che devo pensare di più a me, e tra l'altro, alla lunga mi annoio.
Opzione b.) Ti amo (il giusto), quello che mi dai mi basta (tanto pure io di più non ce la faccio), però non mi devi rompere i coglioni, ho un lavoro a cui pensare, le bollette da pagare, e ho bisogno di leggerezza, e di una serenità (forse i Greci l'avrebbero chiamata con più pertinenza "agognata atarassìa") che forse non riesci a darmi.

Dunque, l'amore da un lato è minato dal fatto di non svilupparsi mai in maniera equa e paritaria (c'è sempre uno che ama di più, e le fasi raramente coincidono, bisogna sperare che chi è in credito non si scocci), dall'altro è ancor più seriamente minacciato dalla curva discendente che in maniera fisiologica percorre, dal fatto che, per quanto a lungo si resti "eccezionali" per qualcuno, arriva sempre un momento, in una relazione, in cui si diventa abitudine tra le abitudini, per quello stesso qualcuno.



Si può ovviare a tutto questo?
No.
Neanche se sei una gran gnocca o un gran figo, neppure se ti chiami Angelina Jolie o Ryan Gosling. Neppure se la tua storia ha fruttificato in splendidi figli e in una vita di coppia appagante.
L'amore può essere forte, quasi una pila duracel, ma col tempo comunque si scarica. Però, quasi alla soglia dell'età di mezzo (che, tra l'altro, è ben precisare, in amore non corrisponde quasi mai alla maturità e alla saggezza), ho scoperto l'acqua calda: esistono i caricabatterie.

Certo, bisogna volerli usare in due, e sempre contemporaneamente. Ci deve essere la precisa e forte volontà di entrambi nel non staccare la spina, provati e tediati dalla stanchezza. E bisogna ricaricare le pile non per pigrizia, o per paura di doversi lanciare in una nuova avventura o, peggio, per paura di restare soli. L'amore, all'inizio, durante e alla fine è sempre una scelta, quotidiana, che si riafferma a volte a gran voce, a volte in sordina, ma sempre e comunque oltre i litigi e gli scollamenti, oltre le differenze e le divergenze, oltre le "distrazioni" che la vita, matrigna, ti mette davanti per sfidarti, quando l'abitudine prende il sopravvento, oltre gli intoppi, inseguendo un bene comune, che è l'amore stesso.
Finché dura, amore mio, poi pace all'anima sua.
(parola di un'inguaribile romantica che il caricabatterie se lo tiene sempre in borsa, perché non si sa mai…)

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